Sin dalle epoche più antiche l'uomo ha
sempre allontanato da sé il timore della morte per mezzo di rituali
e particolari cure riservate ai defunti, nell'intento di aiutarli a
compiere il loro viaggio verso l'oltretomba e non infastidire i vivi
dai quali la morte li aveva ineluttabilmente distaccati.
Il dolore per la perdita della persona
cara ha sempre spinto gli uomini di tutte le culture e di tutti i
tempi ( pare che già i Neanderthal seppellissero i loro morti
lasciando vicino alle tombe simboli ed amuleti ) a prendersi cura
delle salme e associando il fenomeno della morte a quello del sonno.
Non di rado, infatti, i cadaveri
venivano posti nelle fosse, sui catafalchi funebri o sulle pire, come
se stessero dormendo un sonno profondo...difatti la posizione
orizzontale è generalmente assunta dall'uomo mentre riposa ( o
quando è morto ); mentre cioè il suo corpo è inattivo.
Il dormiente non interagisce con il
mondo esterno, nel sonno persino i parametri vitali rallentano e
questo ricorda molto da vicino come il morto appare agli occhi di chi
lo guarda: un individuo assorto, distaccato dalla realtà che lo
circonda. Così come l'uomo che dorme è immerso nel mondo dei sogni,
il morto è proiettato nel mondo ultraterreno. Per gli antichi,
infatti, i sogni erano messaggi divini, direttamente provenienti dal
sovrannaturale. Ricordiamo, ad esempio, l'episodio biblico narrato
nella Genesi in cui Giuseppe, figlio di Giacobbe, interpretava gli
angoscianti sogni del faraone; o ai “libri dei sogni” degli
antichi egizi, giunti fino a noi per mezzo di alcuni papiri
conservatisi...per non parlare poi della grande considerazione in cui
i sogni erano tenuti dai popoli cosiddetti animisti e non solo.
Se quindi le visioni notturne, talvolta
enigmatiche, talaltra terribili, accompagnavano il dormiente nel suo
misterioso stato di isolamento dal mondo materiale ( un isolamento
temporaneo ), di sicuro il defunto doveva potersi spingere ancora più
in là, abbandonato definitivamente dal suo spirito che era migrato
verso qualche universo spirituale e remoto, inaccessibile ai vivi.
A prescindere da quello che potesse
accadere all'anima del caro estinto, in viaggio verso l'aldilà,
spesso immaginato come una riproduzione del mondo terreno di gran
lunga perfezionato, o talvolta come un mondo puramente spirituale,
quello che più premeva a coloro che rimanevano in vita era il dolore
straziante che la separazione provocava loro; l'incapacità di
accettare che la persona amata non ci fosse più.
Tutti i rituali funebri, la cura della
salma, le preghiere, le offerte al defunto, altro non sono state ( ed
altro non sono ) in tutte le culture umane, che un modo per elaborare
il lutto, cercare di dare alla perdita della persona cara un senso
che la renda accettabile. Tra i dolori umani quello del lutto è
sicuramente uno dei peggiori e dei più difficili da superare; la
consapevolezza che la nostra vita ha un tempo limitato e il mistero
di cosa potrebbe esserci dopo, ammesso che ci sia, angosciano da
sempre l'essere umano che spesso ha trovato conforto nelle
convinzioni di tipo religioso che tendono a dare rassicurazioni
riguardo al fatto che con la morte non si assiste ad una fine, ma che
si tratta sostanzialmente della chiusura di un ciclo e l'inizio di un
altro in cui l'individuo non cessa di esistere, ma va “altrove”,
o assume un'altra forma non più fisica pur conservando le
caratteristiche intrinseche del suo essere individuo.
Indipendentemente dalle convinzioni di
natura escatologica delle persone, la perdita di un familiare, di un
amico, di una persona con la quale si sia condiviso un tratto di
esistenza, l'accettazione del distacco passa per mezzo di una serie
di rituali che comprendono la manipolazione della salma, il contatto
reale e materiale con essa come se ancora fosse in vita. Questo
implica l'iniziale rifiuto da parte di chi subisce il lutto di
considerare la persona cara effettivamente morta.
Quando veniamo colpiti da un lutto,
spesso, le reazioni possono essere di due tipi: il rifiutarsi di
toccare o vedere la persona morta o, al contrario, il desiderio di
starle il più possibile vicino e trattarla come se ancora fosse
presente a tutti gli effetti, viva ed esistente.
Spesso nei rituali funebri delle varie
culture vi è una componente di convivialità con il defunto, o di
condivisione di aspetti festosi e quotidiani. Talvolta si può usare
la veglia della salma o il banchetto in una stanza adiacente alla
camera del morto che viene lasciata di proposito con la porta aperta
affinché il defunto possa “partecipare” insieme a parenti ed
amici.
Ogni popolo ha i suoi usi e costumi
relativi alla morte, come alla vita.
Vi sono singolari tradizioni del mondo
occidentale che spesso sono poco conosciute ai più e, addirittura,
non sono ancora state completamente studiate e comprese.
Una di queste è la fotografia post
mortem. Pare che questa singolare pratica si sia sviluppata in epoca
vittoriana, e comunque intorno alla metà del XVIII secolo. Dal mondo
anglosassone sembra poi essersi diffusa anche in alcune parti
d'Europa; ad esempio nell'Europa dell'Est ed è rimasta in auge per
un secolo. Le fotografie post mortem più recenti risalgono alla
prima metà del '900.
Questa usanza consisteva nel ritrarre i
defunti poco dopo il decesso, direttamente all'interno della bara
posta nella camera ardente, oppure in atteggiamenti del tutto
“vitali” e che poco lasciassero intuire del loro effettivo stato
di trapassati.
A causa dell'alto tasso di mortalità
infantile sono numerosissime le foto post mortem a noi sopraggiunte
che ritraggono bambini; questi ultimi spesso venivano fotografati su
un divano, a letto, o su un cuscino come se fossero assorti in un
sonno profondo, attorniati dai giocattoli preferiti, dai fratelli e,
talvolta, dagli animali domestici cui erano stati particolarmente
affezionati in vita.
I neonati deceduti durante il parto o
nei primi mesi di vita erano tantissimi e spesso venivano fotografati
in braccio alla madre, nel lettino o in minuscole bare aperte,
adornate di merletti e fiori.
Ma tante sono anche le fotografie che
immortalano gli adulti, nei loro abiti migliori, siano essi stati di
estrazione umile o benestante. Indipendentemente dai mezzi economici
della famiglia, nessuno voleva rinunciare ad una fotografia che
riprendesse il caro estinto e ne perpetuasse il ricordo.
In alcuni casi è possibile assistere a
composizioni fotografiche di notevole pregio, nelle quali è quasi
impossibile riconoscere il morto comodamente seduto ad un tavolo tra
i parenti, o addirittura in piedi in compagnia di un familiare.
I fotografi del post mortem dovevano
aver sviluppato nel tempo delle abilità considerevoli, non solo
nello scatto delle foto, ma anche e soprattutto nella composizione
delle salme e dei set.
Ricordiamo che scattare una fotografia
a quei tempi era un processo lungo e macchinoso; erano necessari
lunghi tempi di posa e non sempre tutto andava per il verso
giusto...nulla a che vedere con le macchine digitali, rapide ed
indolore a cui siamo abituati oggi!
Tuttavia le tecnologie e le tecniche
fotografiche hanno fatto in fretta passi avanti nel corso
dell'Ottocento, ma i fotografi dovevano comunque portare con sé
un'attrezzatura ingombrante e sicuramente non agevole da trasportare.
Tutto questo unito all'ulteriore
abilità che un fotografo che ritraeva morti ( presumo che dovesse
essere una vera e propria specializzazione ) doveva avere e cioè
quella di comporre le salme in funzione del risultato finale che
voleva ottenere. Non so se ci fossero dei compositori di salme
specializzati che assistevano il fotografo, magari un vero e proprio
staff professionale che si occupava di tutto quello che concerneva
l'allestimento del set, ma è assai probabile che gli studi
fotografici o i fotografi singoli fossero più che organizzati per
assolvere le esigenze dei clienti.
Nei primi anni in cui la fotografia si
è diffusa non era molto comune farsi ritrarre visto che si trattava
di un processo costoso che non tutti potevano permettersi di
sostenere; per questa ragione era frequente che una persona morisse,
anche adulta, senza aver mai posato per una foto.
Ma era usanza che la fotografia
scattata dopo il trapasso fosse d'obbligo affinché la famiglia
potesse conservare un ricordo nitido della persona scomparsa...se poi
la foto era composta in maniera tale che il defunto sembrasse ancora
vivo, era molto meglio. I fotografi del post mortem erano anche molto
abili nel ritoccare i ritratti, dando colorito alle gote delle salme
e dipingendo gli occhi aperti sulle palpebre chiuse...una sorta di
Photoshop ante litteram, eseguito con pennello e colori direttamente
sulle fotografie.
Questo delle fotografie ai morti era un
fenomeno assai diffuso e considerato del tutto naturale, a dispetto
di come potrebbe apparire ai nostri occhi. In una società come
quella vittoriana in cui tutto ciò che non fosse considerato in
linea con i severi principi della corona britannica andava
rigorosamente censurato, nemmeno la morte poteva essere risparmiata e
mostrata liberamente per quella che è, infatti i morti venivano
sapientemente camuffati affinché sembrassero ancora vivi.
Una manifestazione molto singolare e
curiosa in un secolo non ancora del tutto studiato e approfondito
quale l'Ottocento, che sembra però rispecchiare, senza alcuna
difficoltà di analisi, l'atavico desiderio umano di sopraffare ed
esorcizzare le paure e le sofferenze connesse alla morte.
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