venerdì 2 settembre 2011

Fotografia post mortem

Sin dalle epoche più antiche l'uomo ha sempre allontanato da sé il timore della morte per mezzo di rituali e particolari cure riservate ai defunti, nell'intento di aiutarli a compiere il loro viaggio verso l'oltretomba e non infastidire i vivi dai quali la morte li aveva ineluttabilmente distaccati.
Il dolore per la perdita della persona cara ha sempre spinto gli uomini di tutte le culture e di tutti i tempi ( pare che già i Neanderthal seppellissero i loro morti lasciando vicino alle tombe simboli ed amuleti ) a prendersi cura delle salme e associando il fenomeno della morte a quello del sonno.
Non di rado, infatti, i cadaveri venivano posti nelle fosse, sui catafalchi funebri o sulle pire, come se stessero dormendo un sonno profondo...difatti la posizione orizzontale è generalmente assunta dall'uomo mentre riposa ( o quando è morto ); mentre cioè il suo corpo è inattivo.
Il dormiente non interagisce con il mondo esterno, nel sonno persino i parametri vitali rallentano e questo ricorda molto da vicino come il morto appare agli occhi di chi lo guarda: un individuo assorto, distaccato dalla realtà che lo circonda. Così come l'uomo che dorme è immerso nel mondo dei sogni, il morto è proiettato nel mondo ultraterreno. Per gli antichi, infatti, i sogni erano messaggi divini, direttamente provenienti dal sovrannaturale. Ricordiamo, ad esempio, l'episodio biblico narrato nella Genesi in cui Giuseppe, figlio di Giacobbe, interpretava gli angoscianti sogni del faraone; o ai “libri dei sogni” degli antichi egizi, giunti fino a noi per mezzo di alcuni papiri conservatisi...per non parlare poi della grande considerazione in cui i sogni erano tenuti dai popoli cosiddetti animisti e non solo.
Se quindi le visioni notturne, talvolta enigmatiche, talaltra terribili, accompagnavano il dormiente nel suo misterioso stato di isolamento dal mondo materiale ( un isolamento temporaneo ), di sicuro il defunto doveva potersi spingere ancora più in là, abbandonato definitivamente dal suo spirito che era migrato verso qualche universo spirituale e remoto, inaccessibile ai vivi.
A prescindere da quello che potesse accadere all'anima del caro estinto, in viaggio verso l'aldilà, spesso immaginato come una riproduzione del mondo terreno di gran lunga perfezionato, o talvolta come un mondo puramente spirituale, quello che più premeva a coloro che rimanevano in vita era il dolore straziante che la separazione provocava loro; l'incapacità di accettare che la persona amata non ci fosse più.
Tutti i rituali funebri, la cura della salma, le preghiere, le offerte al defunto, altro non sono state ( ed altro non sono ) in tutte le culture umane, che un modo per elaborare il lutto, cercare di dare alla perdita della persona cara un senso che la renda accettabile. Tra i dolori umani quello del lutto è sicuramente uno dei peggiori e dei più difficili da superare; la consapevolezza che la nostra vita ha un tempo limitato e il mistero di cosa potrebbe esserci dopo, ammesso che ci sia, angosciano da sempre l'essere umano che spesso ha trovato conforto nelle convinzioni di tipo religioso che tendono a dare rassicurazioni riguardo al fatto che con la morte non si assiste ad una fine, ma che si tratta sostanzialmente della chiusura di un ciclo e l'inizio di un altro in cui l'individuo non cessa di esistere, ma va “altrove”, o assume un'altra forma non più fisica pur conservando le caratteristiche intrinseche del suo essere individuo.
Indipendentemente dalle convinzioni di natura escatologica delle persone, la perdita di un familiare, di un amico, di una persona con la quale si sia condiviso un tratto di esistenza, l'accettazione del distacco passa per mezzo di una serie di rituali che comprendono la manipolazione della salma, il contatto reale e materiale con essa come se ancora fosse in vita. Questo implica l'iniziale rifiuto da parte di chi subisce il lutto di considerare la persona cara effettivamente morta.
Quando veniamo colpiti da un lutto, spesso, le reazioni possono essere di due tipi: il rifiutarsi di toccare o vedere la persona morta o, al contrario, il desiderio di starle il più possibile vicino e trattarla come se ancora fosse presente a tutti gli effetti, viva ed esistente.
Spesso nei rituali funebri delle varie culture vi è una componente di convivialità con il defunto, o di condivisione di aspetti festosi e quotidiani. Talvolta si può usare la veglia della salma o il banchetto in una stanza adiacente alla camera del morto che viene lasciata di proposito con la porta aperta affinché il defunto possa “partecipare” insieme a parenti ed amici.
Ogni popolo ha i suoi usi e costumi relativi alla morte, come alla vita.
Vi sono singolari tradizioni del mondo occidentale che spesso sono poco conosciute ai più e, addirittura, non sono ancora state completamente studiate e comprese.
Una di queste è la fotografia post mortem. Pare che questa singolare pratica si sia sviluppata in epoca vittoriana, e comunque intorno alla metà del XVIII secolo. Dal mondo anglosassone sembra poi essersi diffusa anche in alcune parti d'Europa; ad esempio nell'Europa dell'Est ed è rimasta in auge per un secolo. Le fotografie post mortem più recenti risalgono alla prima metà del '900.
Questa usanza consisteva nel ritrarre i defunti poco dopo il decesso, direttamente all'interno della bara posta nella camera ardente, oppure in atteggiamenti del tutto “vitali” e che poco lasciassero intuire del loro effettivo stato di trapassati.
A causa dell'alto tasso di mortalità infantile sono numerosissime le foto post mortem a noi sopraggiunte che ritraggono bambini; questi ultimi spesso venivano fotografati su un divano, a letto, o su un cuscino come se fossero assorti in un sonno profondo, attorniati dai giocattoli preferiti, dai fratelli e, talvolta, dagli animali domestici cui erano stati particolarmente affezionati in vita.
I neonati deceduti durante il parto o nei primi mesi di vita erano tantissimi e spesso venivano fotografati in braccio alla madre, nel lettino o in minuscole bare aperte, adornate di merletti e fiori.
Ma tante sono anche le fotografie che immortalano gli adulti, nei loro abiti migliori, siano essi stati di estrazione umile o benestante. Indipendentemente dai mezzi economici della famiglia, nessuno voleva rinunciare ad una fotografia che riprendesse il caro estinto e ne perpetuasse il ricordo.
In alcuni casi è possibile assistere a composizioni fotografiche di notevole pregio, nelle quali è quasi impossibile riconoscere il morto comodamente seduto ad un tavolo tra i parenti, o addirittura in piedi in compagnia di un familiare.
I fotografi del post mortem dovevano aver sviluppato nel tempo delle abilità considerevoli, non solo nello scatto delle foto, ma anche e soprattutto nella composizione delle salme e dei set.
Ricordiamo che scattare una fotografia a quei tempi era un processo lungo e macchinoso; erano necessari lunghi tempi di posa e non sempre tutto andava per il verso giusto...nulla a che vedere con le macchine digitali, rapide ed indolore a cui siamo abituati oggi!
Tuttavia le tecnologie e le tecniche fotografiche hanno fatto in fretta passi avanti nel corso dell'Ottocento, ma i fotografi dovevano comunque portare con sé un'attrezzatura ingombrante e sicuramente non agevole da trasportare.
Tutto questo unito all'ulteriore abilità che un fotografo che ritraeva morti ( presumo che dovesse essere una vera e propria specializzazione ) doveva avere e cioè quella di comporre le salme in funzione del risultato finale che voleva ottenere. Non so se ci fossero dei compositori di salme specializzati che assistevano il fotografo, magari un vero e proprio staff professionale che si occupava di tutto quello che concerneva l'allestimento del set, ma è assai probabile che gli studi fotografici o i fotografi singoli fossero più che organizzati per assolvere le esigenze dei clienti.
Nei primi anni in cui la fotografia si è diffusa non era molto comune farsi ritrarre visto che si trattava di un processo costoso che non tutti potevano permettersi di sostenere; per questa ragione era frequente che una persona morisse, anche adulta, senza aver mai posato per una foto.
Ma era usanza che la fotografia scattata dopo il trapasso fosse d'obbligo affinché la famiglia potesse conservare un ricordo nitido della persona scomparsa...se poi la foto era composta in maniera tale che il defunto sembrasse ancora vivo, era molto meglio. I fotografi del post mortem erano anche molto abili nel ritoccare i ritratti, dando colorito alle gote delle salme e dipingendo gli occhi aperti sulle palpebre chiuse...una sorta di Photoshop ante litteram, eseguito con pennello e colori direttamente sulle fotografie.
Questo delle fotografie ai morti era un fenomeno assai diffuso e considerato del tutto naturale, a dispetto di come potrebbe apparire ai nostri occhi. In una società come quella vittoriana in cui tutto ciò che non fosse considerato in linea con i severi principi della corona britannica andava rigorosamente censurato, nemmeno la morte poteva essere risparmiata e mostrata liberamente per quella che è, infatti i morti venivano sapientemente camuffati affinché sembrassero ancora vivi.
Una manifestazione molto singolare e curiosa in un secolo non ancora del tutto studiato e approfondito quale l'Ottocento, che sembra però rispecchiare, senza alcuna difficoltà di analisi, l'atavico desiderio umano di sopraffare ed esorcizzare le paure e le sofferenze connesse alla morte.



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